Appello ai Liberi e Forti.
Quale futuro per i Liberi e Forti nel nuovo millennio?
Ho chiesto ad alcuni amici un breve contributo scritto.
Di Armando Dicone.
Ogni 18 gennaio celebriamo il coraggio di Don Luigi Sturzo e degli amici della commissione provvisoria del Partito Popolare Italiano, che nel 1919 pubblicarono "l'appello ai Liberi e Forti".
Ogni 18 gennaio ci batte il cuore, ogni anno la stessa emozione, ogni volta la stessa voglia di ricominciare una storia senza fine.
Oggi vorrei fosse il giorno del ricordo, ma soprattutto del FUTURO!!!
Questa è la mia, umile, idea di futuro.
I Popolari di Centro, con la loro scelta centrista, rappresentano una forza di equilibrio nella politica italiana. Collaborando con riformisti e liberali, si pongono come alternativa al bipolarismo che ha fallito negli ultimi trent'anni. Questa, auspicabile, alleanza mira a costruire un'Italia più inclusiva e prospera, basata su valori di moderazione e dialogo. L'anniversario del 18 gennaio segna un momento di riflessione e rinnovato impegno per i "Liberi e Forti" italiani.
Concludo con due domande:
È possibile creare uno spazio di dialogo tra noi?
I Popolari di Centro avvertono l'esigenza di incontrarsi?
Di Valeria Frezza e Stefano Colagrossi.
Dove si sono nascosti i LIBERI E FORTI?
Abbiamo deciso di intitolare così il nostro testo, in quanto, oggettivamente, i “Liberi e forti” in Italia, inglobati nei due schieramenti di appartenenza, hanno perso la loro identità, la ricchezza dei valori e il patrimonio culturale.
Chi sono oggi i veri “Liberi e forti”? I cattolici del sociale che rivendicano giustamente i diritti dei poveri e della pace ma che agli occhi delle persone, nella sinistra si scambiano per “pacifinti”, “cattocomunisti”, statalisti? Oppure sono invece i cattolici della morale, che rivendicano l’eredità di De Gasperi, apparantemente più coerente come orientamento politico ma che poi invocano “l’invasione degli stranieri”, la ribellione contro il libertinaggio della politica della sinistra (gender, woke, green deal)?
Ai posteri l’ardua sentenza, ma a noi l’amara constatazione della mancanza di riferimenti politici coerenti e seri.
Di Flavio Felice e Maurizio Serio.
Con la fondazione del Partito Popolare, Sturzo intendeva affermare un punto chiave del rapporto tra cattolici e politica, mettendo allo stesso tempo fuori gioco ogni tentativo di clericalismo, di nostalgia verso il legame fra trono e altare tipico dell’antico regime, e, specularmente, di asservimento del fatto religioso alla ragion di Stato, tipico di un certo nuovo regime in cui lo Stato si attesta come monopolista del potere.
Affermando la reciproca indisponibilità della sfera politica e di quella religiosa a lasciarsi strumentalizzare l’una dall’altra, Sturzo ha dimostrato una conoscenza profonda della complessa realtà sociale creatasi con la modernità, nella quale la dimensione del regnum instrumentum religionis si intreccia con quella della religio instrumentum regni. Sturzo rigetta entrambe le derive in nome di una società di per sé eterogenea, plurale, plurarchica, differenziata per funzioni, indisponibile a qualsiasi pretesa monopolistica avanzata da una qualsiasi delle sfere sociali che compongono la società civile, di cui la politica è parte e non sintesi, perché la sintesi è operata dalla coscienza di ciascuna persona.
(Fonte: Avvenire, Viaggio alle radici della Dc: cosa diceva don Sturzo a inizio '900, 17/01/25).
Di Giulio Colecchia.
Rileggere le pagine dell’Appello di don Sturzo provoca sempre sentimenti contrastanti. Le preoccupazioni ed anche le paure che da quelle parole rimbalzano e si sovrappongono, in un alternarsi di sensazioni, con la piacevole percezione di forza che viene dal richiamo alla comune responsabilità ed alla coscienza di ciascuno nell’assolvere il dovere di cittadino. Quella “grave ora” che l’Appello richiamava era destinata, per l’Italia, ad aggravarsi ancor più con l’orribile esperienza che il fascismo stava per regalarle alimentando le rabbie più estreme, il populismo più viscerale e trovando terreno fertile nelle divisioni e nell’incapacità della politica. Questa lezione che la storia ci ha consegnato oggi non è percepita nella sua reale dimensione e valenza. Alla necessità di non alimentare nei cittadini diffidenza e delusione, si preferisce ostinarsi con battaglie identitarie, neanche caratterizzate da diverse visioni della società, diverse soluzioni ai problemi e pure diverso impegno nell’affrontarli, ma sui fantasmi del passato. Così facendo favorisce il riproporsi di quelle radici di malcontento che alimentarono allora il populismo e che oggi ritroviamo in entrambe le coalizioni di destra e di sinistra. Non so quanto tempo ci vorrà, ma, coloro che sentono forte quella responsabilità e quel senso civico che don Sturzo indicava come necessario, hanno il dovere di impegnarsi per travasarlo nella società e soprattutto nelle nuove generazioni.
Di Erminia Mazzoni.
LA SCELTA DI ESSERE POPOLARI NEL 2025.
La storia vissuta come base sulla quale fondare la consapevolezza del presente è lo strumento necessario per costruire il futuro. Nessuna nostalgica pretesa di ritorno al passato. Bensì un sano approccio alla vita che ha la sua consistenza nel fluire del tempo, perché, è banale dirlo, se dietro di noi troviamo il vuoto perdiamo il senso della prospettiva e, dunque, la capacità di visione. Su queste basi vivo anche quest’anno il 18 Gennaio. Oggi più di sempre il paese è attraversato da un attivismo popolare. Oggi, come nel 1919, l’elettorato cattolico è privo di riferimenti politici. Esiste un’analoga esigenza ricostruttiva, ma il contesto è chiaramente cambiato e non vedo uno Sturzo all’orizzonte. La rappresentatività delle classi dirigenti è, infatti, il malato più grave di questa epoca. La maggioranza nel paese si è ripiegata, anche per questo, su se stessa, rinunciando al voto. L’astensionismo è sintomatico di due patologie oramai sistemiche: il voto bloccato e la militanza criminalizzata. La fenomenologia di tali patologie è fatta di personalismi, di individualismo e di paura. 105 anni fa, la Commissione provvisoria del Partito Popolare Italiano lanciò l’Appello ai «liberi e forti» rivolto a quanti, «uomini moralmente liberi e socialmente evoluti», erano disposti a impegnarsi a sostenere un progetto politico e sociale per l’Italia all’indomani della Prima guerra mondiale.”.
L’appello nel 2025 dovrebbe invitare tutte le donne e gli uomini moralmente impegnati, socialmente partecipi e tecnologicamente integrati a unirsi per fermare la deriva della dissoluzione valoriale, della indifferenza civile e della supremazia della macchina sull’uomo.
Di Lucio D'Ubaldo.
Il futuro del popolarismo? A Trieste è caduto un tabù, quello della impossibile rinascita di un pensiero e di una prassi alla luce della storia.
“In Italia - ha detto infatti Papa Francesco - è maturato l’ordinamento democratico dopo la Seconda guerra mondiale, grazie anche al contributo determinante dei cattolici. Si può essere fieri di questa storia, sulla quale ha inciso pure l’esperienza delle Settimane Sociali; e, senza mitizzare il passato, bisogna trarne insegnamento per assumere la responsabilità di costruire qualcosa di buono nel nostro tempo”.
È una svolta. Certo, bisogna intendersi sui passi da compiere: al di là delle parole del Papa incide pur sempre il “pregiudizio teologico” sulla inammissibilità di un partito d’ispirazione cristiana - di “partito cattolico” parla solo Prodi per comodità polemica - dopo la “rottura” del Concilio Vaticano II. Ebbene, cos’è un partito senza una ispirazione ideale? E quale ragione pratica dovrebbe opporsi all’aggiornamento di una specifica ispirazione, ovvero quella cristiana?
Il punto centrale è questo, il resto conta meno o non conta affatto. Mi riferisco, ad esempio, alle ansie sul “fattore equivoco” del centro in una democrazia bipolare. Tesi inconsistente perchè fondata sul paradosso di un centro ben presente nella pubblica opinione e quindi nell’elettorato, ma non abilitato - ma perché? - a proiettarsi autonomamente sulla scena politica.
Un paradosso, appunto, che la dialettica tra progressisti e conservatori tiene in piedi per opportunità o meglio per opportunismo.
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